Marta, Mary e Anna..
Essere streghe a Milano.
di Pio Campo
E’ un pomeriggio di sole a fine settembre e passeggio in centro a Milano con Gabriel. Le strade sono abitate da
gente che chiacchiera, corre, si ferma, sorride, si lamenta, impreca ed è distratta. Condurre due cuori a spasso
per le vie di una città costantemente in tumulto è per me decidere di ascoltare solo la voce del mare all’alba e
ricordarmi che il silenzio, la pace, l’equilibrio abitano in noi. Con questa coscienza posso affrontare il caos
quotidiano: “Don’t let people pull you in their storm, bring them in your peace” dice un dettato buddista, “Non
lasciare che gli altri ti portino nei loro “vortici”, portali nella tua pace”.
I passi casuali ci guidano in uno dei quartieri milanesi più suggestivi con colonne antiche, un’aria bohemienne,
visi alternativi, giovani che sfuggono alla routine di immagini imperanti.
La vetrina di un negozio di pietre e oggetti orientali cattura il nostro sguardo.
L’India ci attende qualche mese dopo e la sua voce pare arrivare nei momenti insoliti come nei più comuni, voce
di madre tenera, richiamo orgoglioso di identità, di sangue, di razza.
Dalla vetrata della porta di ingresso si intuiscono luci e sospiri, movimenti ovattati e canti languidi. Ancora prima
di entrare avvertiamo che i suoni esterni si attutiscono come ingoiati da un brontolio di fusa feline, pantere nere
e gatti selvaggi, battito di falene notturne e vibrare di serpi colorate.
Loro sono li’ ad attenderci con gli sguardi dai bagliori radicati in abissi, cieli stellati e tuoni.
Sono piccole di statura ma a tratti si allungano fino al soffitto, si attorcigliano in un baleno lungo la ringhiera di
legno che contorna le scale e guardano appese ai lampadari o dalle travi alte. Questa danza rocambolesca e
sinuosa avviene quando abbassiamo le palpebre ma il cuore coglie ogni spostamento con una precisione
millimetrica. Si muovono in silenzio e dagli scaffali, i cassetti, le mensole e le piccole vetrine le pietre ammiccano
e sussurrano in un dialogo costante e muto che rivolgono alle loro guardiane.
Siamo avvolti dallo stupore, la sorpresa, l’emozione di una magia che a tratti come onda e a momenti come
musica, cola dalle pareti, dipinge l’aria, si accovaccia vigile sui mobili vecchi, di legno vissuto.
Marta, Mary e Anna ci rivolgono parole incrostate di minerali preziosi, con accenti che riverberano di bagliori
azzurrini o scarlatti, verbi misteriosi dall’essenza di opale e quarzo rosa. La conversazione così come l’emozione
crescente dal riconoscersi lentamente e in modo definitivo si tinge di caute pause di ametista, vibranti e
profonde perle nere, bagliori di labradorite.
Marta è la più antica e le sue origini tessute fra campi zingari e templi indiani la rendono minuta e misteriosa,
luce d’ambra e chioma raccolta d’olio di sandalo e cocco. Le mani accarezzano le pietre che ci mostra e la sua
pelle al toccarle suscita voci di amazzoniti, lapislazzuli azzurri e agate sonore. Non esistono segreti fra lei e i
monili che scivolano dai cassetti fino alle sue dita delicate, con un volo indipendente. Testimone del grande
segreto insieme alle sue sorelle, Marta decide apparentemente da sola cosa mostrare, in ascolto profondo del
bisogno minerale che si concretizza velocemente nell’anello o la collana che ci mette fra le mani.
Durante l’ora che passiamo insieme nell’alternarsi dell’entrata di clienti familiari e altri immediatamente cacciati
dal silenzio ostile della magia che regna sovrana nel piccolo negozio, diamo spazio alla nostra armonia.
E’ incredibile vedere come le pietre si nascondano quando un donna o un uomo entrano guidati dall’unico
bisogno di possedere, mentre altre si rivelano ossequiose e degne a chi è destinato a portarle. Le tre adorabili
streghe avvertono ogni movimento e ogni acquisto ancora prima che i passi di chi entra abbiano varcato la
soglia.
Fremiamo di un’essenza comune, di uno sguardo di reciproco riconoscimento, di una musica che fa parlare i
nostri cuori, visione di un mondo che ancora può esistere…Mondo unico, il solo che ci interessa, dove la
comunicazione avviene come un rio fluido e naturale, di coscienza umana vigile e rinnovata.
Non importa comprare o meno. Siamo lì per una volontà altra, un disegno di puzzle denso di significato e
leggero come un soffio.
Ci diamo appuntamento al nostro prossimo passaggio e usciamo felici con un canto di libellula estiva
nell’autunno della città.
Già in strada mi giro un attimo a guardarle ma mi pare di vedere solo un rincorrersi di tre gatte nere fra gli
scaffali di pietre che guizzano e ondeggiano di luci notturne.
Torniamo dopo qualche mese, in febbraio, dopo l’India.
La nostra pelle è ancora bagnata dalle immersioni rituali nel Gange, siamo incensi e mantra madri, danza
ancestrale di patchouli.
Questa volta Gabriel e io non abbiamo neanche bisogno di decidere cosa fare e durante il primo pomeriggio
libero siamo lì a varcare la soglia del regno magico dove sappiamo chi incontreremo.
Loro, magrissime e con gli occhi ancora più scintillanti ci avvolgono immediatamente coi loro voli di gazze
libere. Dai rami bassi di un albero sconosciuto, nato dietro al bancone, ci raccontano di cambiamenti improvvisi
e apparentemente malefici. In un regno italiano e decadente, la padrona del negozio ha deciso di eliminarle.
Tocca a noi questa volta guidarle nel tuffo misterioso di una vita che continuamente chiede di ricrearci e stare in
movimento. Ci parlano di nuovi progetti e nuovi voli senza alcuna sicurezza che non sia quella del cuore in pace.
L’india si rivela attraverso le parole come un suono materno che va al di là di un luogo geografico. E’ un modo di
pensare ed essere.
Le pietre sonnecchiano silenziose negli scaffali, nei cassetti, nelle vetrine.
Nuovi saluti e nuove promesse fino a ieri, quando nel pomeriggio primaverile del mio rientro in Italia mi muovo
per andarle e trovare.
Sembra che il tempo abbia rallentato la sua marcia e qualcosa rende i miei passi pesanti. Arrivo faticosamente,
quasi all’orario di chiusura, ma non trovo il negozio o, piuttosto, non lo vedo.
Poi, in una atmosfera polverosa e fosca lo scorgo a qualche metro di distanza da dove sono.
Ascolto un silenzio nuovo che protesta cocciuto vicino alla vetrina e mi affaccio senza entrare. La padrona è
dietro al bancone e discute, dandomi le spalle, con un signore che potrebbe essere suo marito. I capelli della
nuca mi anticipano un volto contratto che non voglio vedere.
Le pietre si girano a guardarmi velocemente per sussurrarmi l’ordine di uscire e non tornare più. Capisco che
probabilmente è quello che diranno come segno di protesta contro un non ascolto della vita ad ogni cliente che
arriverà. Non sono certo gli interessi economici, la mancanza di scrupoli, la disonestà, la confusione ad
accompagnare l’uomo.
La vita sta altrove ed è limpida.
Mi avvio verso il rientro sentendo che danzerò per Marta, Mary e Anna e anche per la padrona che mi dava le
spalle.
Cammino lentamente e col cuore in pace, ascolto i movimenti improvvisi di una danza imprevista che altro non è
se non un invito a stare sempre su ciò che conta.
E’ primavera anche qui, in una Milano piena di proposte per distrarsi, per non pensare a chi veramente siamo.
Gemme e fiori sui rami ricordano che esiste altro, che il Grande respiro è testardo e si ripropone sempre in nuovi
colori e nuovi profumi perché assumiamo la nostra vera identità, il nostro abito d’Amore che non compriamo in
negozi e che non sta nello stereotipo di una immagine che non è la nostra, mai.
Ricordare, ricordare, risvegliarsi.
Arrivo alla fine di questo scritto e sorrido a loro tre che nel dormiveglia stamattina mi sussurravano fra voli di
falene e luci soffuse di zaffiri: “Scrivi di noi, scrivi di noi Pio che siamo altrove adesso, libere e fedeli a noi
stesse…”
Così metto un punto su queste pagine.
Un punto che ha la consistenza e l’aspetto di un piccolo diamante.